Dieci poesie di Giuseppina Turrisi Colonna

Ritratto della poetessa Giuseppina Turrisi Colonna

La sera

Oh bella Sera ! Più soave splende
Il firmamento al pallido chiarore
Di tremolanti stelle, che vestito
De’ raggi vividissimi del Sole,
Come è più bel di donna il caro sguardo,
Se furtiva d’amor lacrima il veli.
È pei felici del mattin sereno
La luce e il moto: per gli oppressi, il vasto
Silenzio della Sera, allor che spira
Sì placida mestizia il bianco volto
Della placida Luna ; è per chi sente
Del delitto l’ Erinni e del rimorso
La truce interminata ombra di notte. —
Me ispira il lume d’amorosa stella,
E l’interrotto suon della campana
Che parmi dir: Prega agli estinti pace,
Ai cari estinti che si amasti un giorno
Ed or d’affetto e di beltà son nudi;
Prega per loro ed a morir t’appresta !

*

Alla mia stanza

O antica sala, ove l’ età più bella
Passai nell’ innocenza e nel dolore
Al fianco della tenera Sorella ,
I tuoi silenzj or son funesti al core:
Ah nel suo volto, nella sua favella
Gli estri sentia del genio e dell’ amore:
Or sola, oppressa dagli affanni miei,
Dolci rime trovar più non saprei.

Almen colui che ne divise, oh almeno
Ti comprenda e t’ adori, o mia Diletta,
E te stringendo con orgoglio al seno,
Goda che s’ abbia tal compagnia eletta.
Io con lo spirto di memorie pieno
In questo asilo tacita, soletta,
Sospirerò quei giorni, e possa Iddio
Non destar nel tuo petto ugual desio.

*

Al mio genio

Riedi, celeste Immagine,
Riedi ne’ sogni miei,
Un caro spirto, un Angelo
Consolator tu sei.

Non figlio della polvere,
Ma sempiterno e divo,
Immaginai quell’ Essere
Pel quale io piango e scrivo.

Fatal, severo, lugubre
Qual morte, è il nostro amore:
Ma le umane delizie
Son per un nobil core?

Divino amor! nei cantici
Solo gustarti, e solo
Sperar che i tardi secoli
Commova il nostro duolo.

*

All’angelo mio

Oh di te nulla è più soave, oh nulla
Di te più ride nella mente mia!
Tu mi baciasti nella rosea culla,
Mi bacerai nell’ ultima agonia:
Tu spiravi alla tenera fanciulla
Pensier celesti, amabile armonia:
Tu meco in ogni tempo; ma nell’ ore
Più solitarie più ti sente il core.

Quaggiù non ti vedrò: quell’ immortale
Beltà sol degna è d’ ammirarsi in cielo;
Ma il soffio leggerissimo dell’ ale
M’ agita, mentre io parlo, il crine e il velo.
Amar dunque tu puoi cosa mortale,
Tu puoi vegliarmi con fraterno zelo?
O mio fedel Cherubo, o mio verace
Consolator nei rischi e nella pace.

Quando è il pensier più mesto e in sè raccolto,
Al mio pianto risponde un suon di pianto;
Sento una man che m’ accarezza il volto,
Sento una voce che m’ invita al canto:
E la tua man, la tua voce che ascolto,
Sei tu che piangi all’ infelice accanto;
Più degli eterei balli, o giovinetto,
Ami i nostri colloquj, il nostro affetto.

E tu invisibil nella valle amara
Mi seguirai, misterioso amico:
Oh mi rendi, se il puoi, la vita cara,
La vita che paventa il cor pudico.
O almen di rose infiorami la bara,
Fa che in terra non lasci alcun nemico,
Dammi il bacio di morte: il volto mesto
lo sul tuo collo piego, e in Ciel mi desto.

*

Maria Stuarda

Oh Stuarda! oh qual nome! oh qual divina
Beltà innocente! oh misera Stuarda!
Nè libera, nè sposa, nè reina
Soffrir tutto sapesti, alma gagliarda!
Morir sapesti pria che alla latina
Fede degli avi tuoi farti bugiarda;
Ogni accusa, dicevi, ogni tormento
O di Neron più cruda, i’ non pavento.

Oh mia dolce Stuarda! oh sventurato
Chi sol nasce al dolor, chi troppo sente,
Chi ne’ cimenti d’ un avverso fato
Esser duro non sa benchè innocente!
Fatal bellezza! ingrato dono, ingrato
Bugiardo fregio dell’età ridente,
De’ tuoi perigli, delle tue sventure
Sola cagion ti preparò la scure !

*

L’oscurità

Scarsa e debole ognor nella secreta
Cella dei miei pensieri, entri la luce.
Quale ebbrezza nell’alma d’ un Poeta
Quella soave oscurità produce!
Cantar non mi vedrà nè rider lieta
Fra le pompe del Sol chi mi conduce,
Perchè rotto ogni incanto, ogni mistero
Truce col Sol m’inaridisce il vero.

No; l’ombra non mi fea pallida e mesta!
Pure all’ombra vegg’ io fiorir la rosa ;
Ma del Ciel degli eventi la funesta
Fatalità rendon la vita esosa.
Nell’ascoso sentier, nella foresta
Lasciatemi cantar; sì dolce cosa
È cantar lacrimando! Oh la ridente
Freschezza non avrà chi troppo sente!

*
Canzone Alle donne siciliane

S’alti pensier divini
Di patria carità destin l’ingegno,
Sole, inermi, o Sicane,
Muteremo d’un popolo i destini!
A farsi di noi degno
Il giovin sacri a’ più bei studi l’ore,
E sprone ai fatti più lodati e santi
I palpiti saran d’un puro amore ;
Amor di sovrumane
Idee nutrito, di celesti canti,
D’ogni più nobil’arte
Nelle tele, ne’ bromi e nelle carte.

Lungi, lungi, o sorelle,
Dal miraglio, dall’opre neghittose :
Dei forti, degli egregi
Saran le glorie più felici e belle,
Se non turban le spose,
Ma dividon con lor gli studi e l’alma.
E ti rapì la moglie, o sciagurato
Del-Sarto, ogni conforto ed ogni palma.
Disconobbe i tuoi pregi
E folle ti credè, non inspirato,
Byron, la donna oscura,
D’ogni fallo cagion, d’ogni sciagura.

L’arroganza, il cipiglio
Sull’umil gente non vi piaccia, o care,
E sia d’onor la brama
Pudica e santa nel femineo ciglio!
Le virtù che fan care
Giungete alle virtù che illustri fanno,
E la dottrina torni alla fanciulla,
Torni gioja alla madre, e non affanno.
Meglio che per la fama,
Vegliate a studio dell’amata culla,
E i pargoli soavi
Degni crescete degli onor degli avi.

Degni crescete i figli
Della Patria, di voi, sicule madri,
Nè dal latte venale
Bevano ohimè! tristissimi consigli:
Di forti, di leggiadri
Esempli provvedete agl’ innocenti ;
L’ore tolte a compor gli atti e le chiome,
Ponete a coltivar le care menti;
Nè vincer la rivale
Di grazie, ma bramate un santo nome,
Agli studi più eletti
Educando fanciulle e giovinetti.

Madri, son vostri i falli
Dei nati, e vostro ne sarà il rimorso ;
Chè voi li trascuraste
Vaghe d’ornarvi e di piacer ne’ balli;
Rapidissimo è il corso
Di giovinezza, e nell’età matura
Ingrati vi saranno e paurosi
I confidati a mercenaria cura.
Le pene che mertaste,
Vi troncheranno i giorni dolorosi;
Nè di pianto o di voti
La fossa onoreran figli e nipoti.

Deh vi suada il vero
Che al profetico labbro Amore inspira!
Di speme, di coraggio
Ebbre correte il nobile sentiero,
E nell’amor, nell’ira
Dimostrate il valor che più non dorme.
Nè trastullo, nè servo il nostro sesso,
Col forte salga a dignità conforme;
Veder deh tosto il raggio
Di si bel giorno deh mi sia concesso.
Ah! vi sproni il mio verso
A ridestar la Patria e l’ Universo !

*
Sonetto

Pieno di simpatia, pieno d’amore
Io sento il cor, sento che un sol trasporto
D’ira è lungo rimorso, odio il livore,
Morte invoco ai miei mali e non conforto.

Come vecchiezza è di mia vita il flore.
E il pallor di vecchiezza in viso porto,
Ahi secca per novissimo dolore
È la vena dei carmi, il foco è morto.

Perchè vivo? perchè finor soffersi
Di quest’inferno l’aborrita guerra
Fra dèmoni sì turpi e sì perversi!

O Suora, o fratel mio, per voi la terra
Ancor felice sognerò nei versi;
Ogni speranza mia non è sotterra.

*

Alla sorella

Son quattro lustri, o tenera Sorella,
Dacché nacqui al dolor; sono passati
I giuochi, i sogni dell’età novella,
Sogni che tosto distruggeano i fati.
Se del viso, del cor, della favella
I tuoi mesti silenzj ho confortati ;
Se nel viver noioso, uguale, arcano,
Dolcissima ti fui, non nacqui invano!

Tu sorella, tu amica, e se v’ha nome
Più santo e puro, ne sei degna, o cara ;
Quest’amicizia dei primi anni, oh come
É preziosa nella vita e rara!
Lascia ch’ io pianga, e il tuo volto e le chiome
Copra di baci, e con dolcezza amara
Membri ogni affanno, ogni perduta speme,
Ogni conforto che provammo insieme.

Nei momenti dell’estro e del dolore
I mestissimi versi a chi ripeto?
Chi mi ricambia di verace amore,
O chi m’asciuga il pianto più segreto?
Qual cor batte conforme a questo core,
E chi meglio il comprende? Ah teco è lieto
Ogni destino, e la morente faccia
Solo piegar vogl’io nelle tue braccia.

Se men t’amassi, chiudere la vita
Senza rimorsi in questo dì vorrei,
E ad ogni alma più cara e più gradita
Lasciar la mia memoria e i versi miei.
D’amor, di sogni, d’armonia nutrita,
Nel consorzio dei vili oh che farei?
Li fuggirò, vìvrò nella dolcezza
D’un cor che mi comprende, e che m’apprezza.

*

La campana del 2 novembre

E’ la voce degli angeli e dei morti,
E’ dei secoli il pianto e di natura,
Che noi nel sogno della vita assorti,
Ad altro viver chiama, ad altra cura:
Ah tu, squilla mestissima, conforti
I languidi pensier della sventura;
Tu m’ insegni a soffrir, tu mi riveli
Che fugge il duòl, fuggono i dì crudeli.

Coi prischi vati, coi guerrier, con Dio
Vissi fuor della terra e dei suoi mali:
Chi mi destò dall’ innocente obblio,
Ahi chi mi tolse la speranza e l’ ali?
Nell’ audacia di nobile desio
Bramai cangiar la sorte dei mortali,
Render tutti felici: ahi! tutto in pianto
Miro, e dei giorni miei rotto è l’incanto.

No, non vorrei coi morti e nell’ orrore
Di gelido sepolcro addormentarmi,
Vorrei, come rugiada in grembo al fiore,
In grembo a rosea nuvola celarmi,
Piangere, amar, pregare, in sin che fuore
Me dal recesso mio, gli altri dai marmi
La novissima tuba un di ridesti,
E n’ apra i tabernacoli celesti.

Nella libera, immensa aria sospesa
Tenterò nuovi liberi concenti,
E degli uomini invece, sarò intesa
Dagli spirti, dai fulmini, e dai venti.
Canterò forti note, a ria contesa
Chiamerò le procelle e gli elementi;
Canterò le mie pene, e gli astri e il Sole
Leveransi alle flebili parole.

Fuggir sopra una nube! ad ogni umana
Cosa fuggire è un nobile deliro,
Un sogno etereo, un’ esistenza arcana,
Un mesto, placidissimo ritiro.
Esser viva, esser sola, esser lontana,
Desiata nel mondo e nell’ empiro,
Mistero a tutti, nota sol nei canti.
Ebbrezza di Cherubi, amor di Santi!

Ecco: dall’ aurea nube armoniosa
Veglio la Patria mia, desto gli eroi,
Parlo ai miei cari, e tenera, pietosa
Memoria sono al cor gli affetti suoi.
Lungi, o cari, da voi, solo riposa
Chi troppo e invano s’ agitò per voi;
Addio per sempre… E tu di là tranquilla
Ripeti il mesto addio, funerea squilla.

(da “Liriche di Giuseppina Turrisi Colonna”, Firenze, Le Monnier, 1846; e “Poesie edite e inedite di Giuseppina Turrisi Colonna, Palermo, Stamperia Ruffino, 1854)

Giuseppina Turrisi Colonna nacque a Palermo il 2 aprile 1822, secondogenita del barone di Buonvicino, Marco Turrisi Colonna, e della nobildonna Emilia Colonna Romano. Fu sempre molto legata alla sorella maggiore, la pittrice Annetta, di due anni più grande di lei.


La futura poetessa romantica crebbe in un clima familiare sereno e rispettoso delle sue inclinazioni, come di quelle di sua sorella e dei suoi tre fratelli Nicolò, Giuseppe e Antonio. La stessa madre, donna di raffinata cultura e di larghe vedute, incoraggiò, in particolare, il talento artistico delle figlie ed il loro sentimento patriottico. Mentre Annetta mostrava una spiccata propensione alle arti figurative e pittoriche, Giuseppina, fin da giovanissima, rivelò una eccezionale attitudine alla poesia.


Giuseppina ed Annetta ricevettero quindi una scrupolosa educazione ed una accurata istruzione: a tale scopo i genitori le affidarono a maestri di grande levatura culturale. Molto peso sulla formazione delle due ragazze ebbero a questo proposito, le lezioni di Giuseppe Borghi, in seguito alle quali Giuseppina compose i suoi primi Inni sul modello di quelli manzoniani. Ad appena 14 anni, la giovanissima poetessa romantica mostrava già di possedere talento ed una forte personalità: i suoi componimenti, infatti, erano ben lontani da qualsiasi sentimento di cristiana rassegnazione. La nobile giovinetta preferiva raccontare, con una passione vibrante, di Giuditta liberatrice del suo popolo, anticipando quello che sarebbe diventato poi uno degli aspetti fondamentali della sua poetica: il ruolo delle donne nella liberazione della Sicilia dal giogo straniero e nel processo di unificazione italiana. In questo senso, Giuseppina Turrisi Colonna può a buon diritto essere considerata una precorritrice del femminismo.


Così, maturando nel suo intimo una poesia “eroica” e con un’epica tutta al femminile, Giuseppina rifiuta di tradurre Anacreonte perché troppo delicato e preferisce i tormenti di Byron, il suo coniugare assieme poesia e vita da immolare sull´altare della libertà.


Nel 1841, a soli 19 anni, pubblica il suo primo volumetto di poesie. E’ un momento molto delicato: Palermo, recentemente colpita dal colera, è in preda alla più cruda desolazione. I versi servono alla giovanissima poetessa romantica per continuare a guardare avanti, e a continuare a sperare in un futuro migliore per il suo popolo.

Giuseppina, poetessa romantica

La sua poesia è tutta calata nel suo tempo: Giuseppina è poetessa romantica nei temi, nello stile, nella sensibilità. Fra i suoi modelli, però, troviamo anche grandi poetesse del passato, in particolare Gaspara Stampa e Vittoria Colonna: in esse, infatti, rifulge già l’ideale di una femminilità attiva e consapevole,  nella quale  Giuseppina si ritrova appieno. Lei, infatti, scrive per tutti ma soprattutto per le altre donne,  incitandole a reagire tirando fuori forza, coraggio e tenacia: tre virtù tipicamente femminili, da sempre al servizio della famiglia e della patria intera.


Di lì a poco, Giuseppina comincia a scrivere articoli sul polemico giornale palermitano “La ruota” e nel 1846 trascorre l´estate a Firenze, dove con Le Monnier pubblica un secondo volume di poesie molto apprezzato dai critici. La poetessa romantica è fra i primi a superare il  concetto limitante di “patria siciliana” e continua a rivolgersi alle donne, da cui attende un risorgimento morale affinchè possa realizzarsi quello politico. E sogna un´Italia unita, ma non ad opera del papa: secondo lei, infatti,  l´Italia non può rinascere «nelle tenebrose sale del Vaticano».


Nel 1847 Giuseppina sposa il suo grande amore: è il principe Giuseppe Galati De Spuches. Sembra quindi attenderla una lunga vita di successi, sia artistici che familiari. Ma la sua felicità è di breve durata: nel 1848 la giovane poetessa romantica muore di parto, a soli tre giorni di distanza dalla sorella Annetta ( morta di tisi).

L’indimenticabile poetessa romantica siciliana riposa nella bellissima chiesa di san Domenico a Palermo. Di lei ci restano tanti ritratti dipinti dall’amatissima sorella, dove attraverso la bellezza del volto traspare l’indimenticata grandezza del suo animo.

Ancora oggi, Giuseppina Turrisi Colonna è una poetessa romantica letta e apprezzata. La sua riscoperta è stata recentemente agevolata dalla tecnologia: molte delle sue poesie, infatti, sono state digitalizzate e condivise in rete.


Donatella Pezzino


Immagine: la poetessa romantica Giuseppina Turrisi Colonna in un ritratto (foto dal web)

Articolo pubblicato su Alessandria Today alla pagina: https://alessandria.today/2023/04/12/poeti-dieci-poesie-di-giuseppina-turrisi-colonna-di-donatella-pezzino/