
Sull’ Etna
Valle d’Etna, vorrei fra’ tuoi vigneti
Signoreggiare una casetta bianca,
E col fantasma de’ miei sogni lieti
Là riposarmi vecchierella stanca;
Fra quercie annose e giganteschi abeti,
Calcando il monte, che la neve imbianca,
Allor quei dolci mormorar secreti
Non detti nell’età che presto, ahi! manca.
Ciccuzza, ancella dalla carne bruna,
Dall’ampio sguardo, dalle membra svelte,
Compagna ne saria della fortuna;
E sorridenti con la fresca aurora,
Dai mondani fastidii alme divelte,
La giovinezza sogneremmo ancora.
*
Rosa felice
Ieri, del vespro nelle placid’ore,
Tornando a casa per la via men corta,
Una rosa di pallido colore
Lasciai cadere sulla vostra porta.
Sembrovvi forse quell’amico fiore,
Fiore che a caso il vento folle porta?
Oppur vi disse, col soave odore,
Come a voi penso, benchè a voi sia morta?
Forse, chi sa? quella beltà che olezza
Lambendovi la faccia lieve lieve,
Del vostro labbro sentì la carezza!
Rosa felice! la tua vita breve
Quanta gioia gustò, quanta dolcezza!
E fiel soltanto la mia, lunga, beve!
*
Fumando una sigaretta
O dolce sigaretta orïentale,
Come la vita in aere te ne vai,
Come l’amore dal potente strale,
Come il ricordo d’ogni idea che amai.
Delle nuvole tue l’onda spirale
Ove corra, dimando, e tu nol sai!
Tale alla gioia che mi torce l’ale,
Chiedo e richiedo invano: «Oh tornerai?»
Mollemente distesa, ebbra di fumo,
In peregrina visïon raccolta,
Due occhi miro tra ’l caldo profumo:
Senza riso vêr me, senza carezze,
Il freddissimo lor guardo si volta….
Perchè vi leggo un mar di strane ebbrezze?
*
E voi passate…
Spazza le nubi sotto il ciel sereno,
Spazza le strade il gelido aquilone,
E di vedervi pochi istanti almeno
Un desiderio dentro il cor mi pone.
Dalla candida brina arso il terreno
Stride all’urto del piè che il sottopone;
Di pellicce m’avvolgo omeri e seno,
E a dispetto del freddo apro il verone.
Ivi passeggio, leonessa in gabbia,
Posa mai non trovando, impazïente,
Finchè di là passar veduto io v’abbia.
E voi passate altero, indifferente,
Senza batter palpèbra o muover labbia,
E voi passate, e non vedete niente!
*
Bionda chimera
Un profumo di morti e di cipressi
Pel gelid’aere a me d’intorno vola;
Varco un’orrida selva: oh tu sapessi
Quanta è miseria nel sentirsi sola!
Oh tu sapessi, nei cupi recessi,
Come, argentata dalla tua parola,
La visïone di gaudî inaccessi
Il pensier m’accarezza e mi consola!
Bionda chimera con la rosea fronte,
Con pupille di sole e ciglia d’oro,
M’arride nell’opal dell’orizzonte!
Nel sol levante e nell’occidua luna
Con tutti i moti del mio cor l’adoro….
E lontana adorarla è mia fortuna!
*
Estate fiorentina
Pungono l’Arno come spilli d’oro
Nell’alta notte, gli schierati lumi,
E corre pel quïeto aere un tesoro
Di fulgidi riflessi e di profumi.
Dall’acque ascende, in murmure sonoro,
La sempiterna melodia de’ fiumi,
Molli aure bevo e a placido ristoro
Par che m’invitin delle linfe i numi.
Ed io disdegno la tranquilla sera,
Chè nel desio fantastico mi romba,
Eco invocata, l’invernal bufera
E il frastuon di gennaio: afosa tomba
M’è l’estiva cittade, e grave e nera
La sonnolenza sua nel cor mi piomba.
*
A L.B.
Nel paese vai tu, dove fioriscono
Con gli aranci le rose,
Dove cresce l’ulivo e al sol biondeggiano
Le mèssi rigogliose?
Nel paese vai tu, dove più teneri
Le fanciulle hanno sguardi,
Ove il sangue fluisce al cor caldissimo
Con battiti gagliardi?
Nel paese vai tu, dove riposano,
Non mai dimenticati,
Vecchi e giovani eroi sotto le cupole
E i campi inseminati?
Nel paese vai tu, dove son gli odii
Feroci e le vendette,
Ove, derisa sull’altar, non frangesi
La fè che si promette?
In quel paese vai? Per me salutalo,
Digli che l’amo anch’io,
O innocente fanciulla, soavissimo
Fior del paese mio.
*
In ferrovia
La vaporiera a volo
Mi spinge sulla via lontana e rapida;
Io passo; immoto e solo
Star veggio un uom sul polveroso tramite.
Ei posa, io fuggo: assai
Il suo destino appar dal mio dissimile:
Più non lo veggo! ormai
Più non c’incontreremo al nostro secolo!
Ma che? Sì varia sorte
Noi forse abbiamo? È la comun miseria
Fine a entrambi e la morte:
Fermo ei le aspetta, io verso lor precipito.
*
Celeste
Tutto m’è caro che ricorda il cielo,
Dell’innocenza mia primo sospiro,
Il mar che lo riflette senza velo
E l’occhio colorato di zaffiro;
Il monumento di turchino gelo,
Cui, sovr’alpestre culmine, m’inspiro,
Il fiore azzurro che, su tenue stelo,
«Pensate,» dice, «a me che vi desiro;»
Il liber estro d’un augel volante,
Della farfalla l’aleggiar tra’ fiori,
L’anima piccioletta d’un infante.
Ma la pietà, che, singhiozzando, accorda
All’uman pentimento i suoi tesori,
Il cielo, sovra tutto, a me ricorda.
*
Io sarò polve
Io sarò polve – e parleranno ancora
Dell’amor mio questi pietosi lai,
Amor modesto, che soffrendo adora,
E il suo mistero non ti disse mai.
Oh forse in quella lontanissim’ora
Ti si rivelerà come t’amai,
E in ogni verso, che la rima infiora,
Una lacrima mia raccoglierai.
Allor, dinanzi alla volgare prosa,
T’alletti l’aura del mio sentimento,
Come profumo di serbata rosa.
Stille, nel sonno, io liberò di miele,
E questi fogli, ch’ora gitto al vento,
La morte meno mi faran crudele.
( da Nuove Poesie, Firenze, Le Monnier, 1885)
*
Maria Paternò Castello di Carcaci nacque a Catania nel 1840 ( nel 1845 o nel 1847, secondo alcune fonti).
Restò orfana di entrambi i genitori in tenera età e fu educata a Palermo da una zia, dimostrando fin da giovanissima una grande intelligenza e una spiccata propensione per la poesia. I suoi primi versi apparvero sulla rivista fiorentina “Letture di famiglia”: la poetessa, allora quindicenne, si cimentava in uno stile ancora scolastico e di maniera, rivelando già, comunque, un precoce talento.
Era dotata di uno spirito indipendente e ribelle che mal si adattava alle convenzioni del suo tempo; era, soprattutto, estremamente curiosa di tutto ciò che poteva arricchirla intellettualmente.
Per questo, non appena fu maggiorenne, Maria manifestò la ferma volontà di emanciparsi e cominciò a viaggiare per l’Europa, frequentando gli ambienti più stimolanti dal punto di vista artistico e culturale. A Ginevra, la poetessa divenne allieva del filosofo materialista Carl Vogt (1817-1895) le cui teorie, in radicale antitesi con le dottrine spiritualistiche dell’epoca, consideravano il pensiero in senso fisico e meccanicistico, riducendolo ad un mero processo biologico.
Ma fu la città di Firenze a segnare maggiormente il destino di Maria: durante la sua permanenza nella città toscana, infatti, la nobildonna pubblicò vari scritti (“Poesie”, “Rosalinda”, “Idillio fantastico”, “Spigolature”, “Note Tragiche”) che furono accolti molto favorevolmente e le diedero una discreta notorietà. A Firenze, inoltre, la poetessa conobbe il marchese Antonio Ricci Riccardi, diplomatico e scrittore, che sposò nel 1870.
Il matrimonio durò felicemente per cinque anni, prima che la coppia entrasse in crisi a causa di alcune gravi incomprensioni; alla fine, riconosciuta l’impossibilità di sanare i loro contrasti, i due decisero di separarsi.
Affranta per il fallimento del suo matrimonio, la poetessa si gettò anima e corpo nella scrittura, componendo poesie di rara intensità che furono poi, insieme ai suoi precedenti scritti, raccolte in un unico volume intitolato “Nuove Poesie” ed edito da Le Monnier.
L’eccezionale profondità dei versi, nei quali vibravano sentimenti vivi e autentici, decretò per l’opera un grande successo di pubblico e critica, raccogliendo recensioni molto positive su alcune delle più autorevoli riviste letterarie. Un articolo uscito su “La Libertà” del 4 luglio 1885 definì le Nuove Poesie “un libro che fa onore al sesso femminile.” La raccolta riscosse consensi anche all’estero, tanto che Heise ne pubblicò una traduzione in tedesco.
Successivamente, la poetessa pubblicò i sonetti Fogliuzze erranti (1886) e A Vallombrosa (1895). Morì a Firenze l’11 giugno del 1923.
Esponente del tardo Romanticismo, la Ricci propose una poesia incentrata soprattutto sulle tematiche dell’amore infelice, della disillusione, delle falsità svelate, degli affetti familiari vissuti in una dimensione struggente e sofferta; frequenti nelle sue poesie sono le ambientazioni mondane e salottiere che, almeno per un certo periodo della sua vita, dovettero costituire la sua quotidianità.
Donatella Pezzino
L’immagine (da Bing) è puramente rappresentativa, in quanto non mi è stato possibile trovare ritratti o fotografie della poetessa Maria Ricci Paternò Castello.
Fonti sulla poetessa Maria Ricci Paternò Castello:
- Note Biografiche di Paolo Alberti su Liberliber.
- http://roccaromana.org/LineaCarcaci.aspx
- Carlo Villani, Stelle femminili, Napoli-Roma-Milano, Albrighi, Segati & C. 1915.
- Dizionario biografico degli scrittori contemporanei diretto da Angelo De Gubernatis, Firenze, Le Monnier, 1879.