
E quella dolce speme, che risplende
Qual iride di pace oltre l’avello,
Mi conforta sovente in sulla terra,
Ov’ io languo qual fior, che innanzi sera
Piega le foglie. Nel materno tetto
In cui vivo solinga, a me dischiusi
Fur dell’arte i misterij e l’armonia
Del bello intesi, che a profano orecchio
Risonar non può mai; nella celeste
Luce del vero s’ispirò la mente,
E ignoto spirto, ch’io comprendo ed amo.
Su di un raggio di stella a me discese:
« E, prendi egli mi disse, o mia diletta,
Prendi quest’ arpa che dal ciel ti reco
Messaggiero di Dio; ma casta e pura
Qual da me la ricevi ognor la serba! »
E tentai quelle corde, e dolci suoni
Ne trassi, amor cantando, e fede, e speme,
Unica meta coi l’uman pensiero
Negli affanni vagheggia e nel dolore.
Or muta è l’ arpa: dal mortai riposo
Chi destarla potrà ? qual man rapirle
Nuovi concenti? Tutta in me già sento
Mancar la vita; più non m’ arde in petto
L’ immensa, arcana, irresistibil fìamma,
Che a cantar m’incitava. Eppur sovente
In quell’ ore solinghe al pianto sacre,
Rammento i dì felici, in cui vegliando
Al fioco lume di notturna lampa
Educava la mente a nobil’opre;
E del cieco di Scio negli immortali
Canti, e di Saffo nelle ardenti note
lo m’ ispirava. La magnanim’ ira
Dell’esul ghibellino; il casto amore
Del cantor di Vaichiusa; il rio destino
Del misero Torquato, e il tardo alloro
Che la sua coronò gelida fronte;
Di Gaspara gli affanni e il disperato
Amor, che innanzi tempo a lei dischiuse
L’avello ; di Vittoria il nobil core,
Ed il casto da lei vedovo letto
Lungamente serbato; ahi tutto allora
Mi destava nel cor sublimi sensi !
E salve, io ripetea, salve o d’Italia
Illustri figli, che in perenne lotta
Colla sventura, intemerata fama
Serbaste e nome altero! Ahi quante volte
Brancolando cercai dentro le vostre
Tombe quel foco animator, che i vostri
Petti infiammava! ahi quante volte attinsi
Da voi nova virtude e forze nove!
Dalla Terra del sol, dalle ridenti
Prode che bagna il limpido Tirreno
A voi mando un saluto! Oh se potessi
A voi congiunta nell’ eterno Amore,
Inebbriarmi, errar di stella in stella.
Tutta goder quella suprema, immensa
Felicità, che invan si cerca in terra;
Quanto lieta sarei! ma forse ancora
Mi rimane a soffrir; forse vicino
Non è quel giorno, in cui, dal suo terreno
Velo disciolta, alle celesti sfere
Spiegherà la mia stanca anima il volo!
(da Canti di Girolamo Ardizzone, Tipografia del Giornale di Sicilia, 1867)
Lauretta Li Greci nasce a Palermo il 15 novembre 1833. E’ poco più che una bambina quando comincia a scrivere e a pubblicare versi. Il suo precoce talento poetico le procura un’immediata fama, insieme all’apprezzamento per la finezza stilistica dei versi e per la dolcezza malinconica delle riflessioni di cui si fanno portavoce.
Nonostante la giovanissima età, Lauretta scrive soprattutto con il pensiero rivolto alla morte: la giovinetta è infatti ammalata di tisi e la consapevolezza della fine imminente non può che permeare in modo significativo tutta la sua scrittura.
Adombrandone ogni parola e ogni afflato, la morte è sempre presente nei suoi versi e li vela di una tenerezza cupa e struggente: un rimpianto che è, insieme, accorato e rassegnato. Lauretta Li Greci muore, non ancora sedicenne, il 3 luglio 1849.
Dotata di una sensibilità non comune e di una cultura notevole per la sua giovane età, la poetessa lascia nella poesia femminile dei suoi tempi un’impronta profonda, tanto da essere ricordata a lungo nei decenni successivi alla sua morte.
A compiangerne la perdita saranno tanti intellettuali e poeti, siciliani e non; un omaggio particolarmente affettuoso le verrà tributato dalla poetessa Rosina Muzio Salvo, che le dedicherà il celebre carme “In morte di Lauretta Li Greci”. Il poeta Ettore Arculeo scriverà di lei: “La sua vita fu quanto il crepuscolo di un giorno e il suo passaggio su questa terra fu come il trasvolare di un angelo fra gli uomini; ella non lambì il lezzo della terra e, fortunata, non arrivò a comprenderne l’impurità e la sozzura“.
Ancora oggi è possibile ammirare il monumento a lei dedicato, opera dello scultore Rosario Anastasi, nella chiesa di San Domenico a Palermo, di fronte alla tomba di un’altra illustre poetessa, Giuseppina Turrisi Colonna. Dimenticata e molto difficile da reperire, invece, è la sua produzione poetica. I versi qui riportati sono contenuti in una silloge poetica dell’amico Girolamo Ardizzone, che così la ricorda:
Conobbe il greco, il latino, il francese, lasciò molte poesie inedite, fra le quali parecchi frammenti di una novella in versi sciolti, Giovanna Greij, e alcune traduzioni di Saffo e di Simonide che furono da me pubblicate nella Rivista Scientifica Letteraria ed Artistica per la Sicilia, anno 1833. Il suo monumento sorge nella chiesa di San Domenico , rimpetto a quello dell’ illustre poetessa Giuseppina Turrisi Colonna, della quale un anno innanzi aveva pianto in dolcissimi versi la immatura perdita.
“E quella dolce speme” fu scritta da Lauretta proprio per l’Ardizzone, che in proposito ci informa:
Questo canto a me diretto dalla Li Greci fu pubblicato per la prima volta nella Rivista scientifica, letteraria artistica per la Sicilia, anno I, 1853. In esso, come negli ultimi suoi versi, campeggia il sentimento malinconico della sua prossima fine e traspariscono sen- sibilmente le sofferenze ond’ era oppressa pel lento morbo che la conduceva al sepolcro.
Fra gli scritti della poetessa si è tramandato anche il frammento della bellissima poesia incompiuta “Alla luna” del 1841 (O amica Luna, che agli afflitti il core/Dolcemente conforti, a te rivolgo/Le mie querele, tu pietosa almeno/A me sorridi…) che, ci testimonia l’Ardizzone, “furono scritti da Lauretta Li Greci un giorno innanzi la sua morte. Stanca dal lungo morbo che la consuma, ella volge i suoi sguardi alla Luna, e l’invoca pietosa ai suoi dolori, e quasi presaga del suo fine, le volge l’ultimo addio. Questo canto, diffuso di una cara malinconia, non fu da lei compito; forse per le prostrate sue forze non potè rivelare interamente quello slancio sublime dell’ anima, quell’ estrema scintilla di una luce vicina ad estinguersi.”
Donatella Pezzino
Nella foto: La scultura che ritrae la poetessa Lauretta Li Greci, posta sul suo monumento commemorativo al pantheon del convento di San Domenico a Palermo ( da http://www.domenicani-palermo.it/pantheon.html)
Fonti:
- “Canti di Girolamo Ardizzone” – 1867 – Tipografia del Giornale di Sicilia – consultabile al seguente link: – – https://archive.org/details/bub_gb_K6CXm0ZrJ3sC)
- https://www.comune.palermo.it
- https://donneprotagoniste.blogspot.it/2014/05/giuseppina-turrisi-e-lauretta-li-greci.htm
- https://it.wikipedia.org/wiki/Girolamo_Ardizzone