Tre arie di Pietro Metastasio

pianoforte in giardino. Immagine rappresentativa delle arie di Metastasio

Sceglier fra mille un core,
in lui formarsi il nido,
e poi trovarlo infido,
è troppo gran dolor.
Voi, che provate amore,
che infedeltà soffrite,
dite se è pena, e dite
se se ne dà maggior.
(da Temistocle, 1736, atto I, scena XIII)

*

E’ follia se nascondete,
fidi amanti, il vostro foco:
a scoprir quel che tacete
un pallor basta improvviso,
un rossor che accenda il viso,
uno sguardo ed un sospir.
E se basta così poco
a scoprir quel che si tace,
perchè perder la sua pace
con ascondere il martìr?
(da Catone in Utica, atto I, scena XV)

*

Se a ciascun l’interno affanno
si leggesse in fronte scritto,
quanti mai, che invidia fanno,
ci farebbero pietà!
Si vedria che i lor nemici
hanno in seno; e si riduce
nel parere a noi felici
ogni lor felicità.
(da Giuseppe riconosciuto, azione sacra, 1733)

da Pietro Metastasio, Opere, Garzanti, 1979, pp .219-223.

Pietro Metastasio (pseudonimo di Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi) nasce a Roma nel 1698. Di famiglia molto modesta, viene “scoperto” casualmente dal poeta Gian Vincenzo Gravina mentre improvvisa versi nella bottega dove sta imparando il mestiere. Incantato dal suo talento, Gravina lo adotta e si incarica della sua istruzione. Sarà lo stesso Gravina a “grecizzare” il suo cognome in Metastasio, conformemente ai canoni dell’Accademia dell’Arcadia.

Divenuto famoso, Pietro viene nominato poeta di corte a Vienna, incarico che ricoprirà fino alla morte (1782).

Poeta, librettista e drammaturgo, Metastasio è considerato il riformatore del melodramma italiano. Profondamente influenzato dai temi e dai moduli della poesia dell’Arcadia, ci ha lasciato un gran numero di componimenti tra oratori, canzonette, melodrammi, feste, cantate, strofe per musica, sonetti e poemi sacri.

Tra i suoi libretti più celebri ricordiamo Didone abbandonata (1724), Siroe re di Persia (1726), Catone in Utica (1728), Semiramide riconosciuta (1729) e Olimpiade (1733).

Le “arie”, come quelle riportate, erano brevi componimenti (sentenze, apologi) che chiudevano i recitativi posti alla fine di ogni scena dei melodrammi. L’alternanza di vari metri (decasillabi, ottonari, settenari, inframmezzati da senari e quinari) e l’uso sapiente delle rime conferiva loro una scorrevolezza ideale per esprimere lo stato d’animo del personaggio che stava per uscire di scena.

Donatella Pezzino

Immagine da bing